mercoledì 19 settembre 2012

Novità inaspettate


(Ultime notizie: il mondo informatico mi odia. Sono passate tre settimane e la tastiera ancora vaga in un limbo e non riesce a giungere al negozio dalla fabbrica. E io sto disperandomi perchè questo blog s'è intristito non poco. Già il mio collega(come se ce l'avessi, un collega) ormai è disperso, se lo abbandono anche io qui si rischia di bloccare la crescita e distruggere la vita dei quattro tizi che mi seguono.
E quindi inizio a postare a puntate un racconto scritto un annetto fa per un regalo che feci alla mia pulzella. Non c'era alcun messaggio nascosto, specifico. Leggete e mi capirete.)


“Sono gay, ma forte. E non me ne vergogno.”- Ecco. Queste esatte parole dovrei dire a mia madre e a mio padre domani, quando andrò a casa per festeggiare il Santo Natale, patrono di tutti i negozi di articoli festivi e santo incensatore di regali che, non si sa per quale motivo, si debbono assolutamente fare di questi tempi. Anche a chi schifi o non vedi da millenni. Prendendo per esempio: mia zia Maria. Tutti noi abbiamo una zia Maria no? Tutti noi abbiamo pure una "zia Teresa" o un "zio Giovanni", ma sto divagando.
Mia zia Maria l’ho vista sette volte in tutta la mia vita, sette volte sette. Per ricorrenze che non si dimenticano: funerali.
Mia zia Maria l’ho vista solo quando qualcuno crepava, passava a miglior vita. Per un certo periodo della mia infanzia pensavo che o lei era dell’agenzia delle pompe funebri, o era colei che ammazzava tutti i miei parenti. Alla fin fine ho deciso che doveva essere un po’ l’uno e un po’ l’altro.
La zia Maria è sempre stata molto amata per i regali che ci donava, a me e alle mie sorelle, in occasione di questi lutti eclatanti. Infatti credo abbia stilato una sorta di “listino decessi” dato che ad ogni parente più importante, ci donava un presente decisamente imponente, per un cugino alla lontana ci portava un giocattolo da niente. Una teoria che ancora oggi stanno studiando al Cern di Ginevra e che anche loro, con l’aiuto della Gelmini, stanno constatando essere efficace. Per fare qualche esempio:
una zia lontana corrisponde ad set di pupazzetti da pochi euri. Un nonno corrisponde a un mini forno funzionante per le mie sorelle e una console per il sottoscritto. Un condomino è mediamente importante, quindi lo si potrebbe ricordare con un videogioco per la console di cui sopra per me, e con un paio di bambole per le mie sorelline. Sì, la zia è sempre stata un po’ maschilista. Da vecchia zitella quale è sempre stata, almeno io me la ricordo sempre vecchia e sempre zitella, cerca di ingentilire le nuove generazioni di uomini per far sì che in futuro non ci siano più donne non sposate in circolazione. Credo che abbia fondato anche un’associazione per il libero zitellaggio e la non discriminazione delle stesse, ma son cose di cui non mi sono mai interessato.
Comunque dicevo che mia zia Maria, quest’anno, verrà finalmente a pranzo da noi per Natale. O meglio: dai miei. Mia nonna ha toccato ferro, è anziana e porta ancora con sé quel corredo di superstizioni che noi giovani d’oggi non conosciamo più: io, per precauzione, son due settimane che giro con le mani in tasca. E se debbo gesticolare lo faccio sempre con una sola, l’altra puntualmente cerca un mazzo di chiavi inesistente per ore, ore e ore. Non ho ancora capito perché mia madre l’abbia invitata. Chi l’ha mai vista? Chi la conosce? Chi deve crepare? E’ da una settimana che con i miei cugini e con Marta e Michela, le mie amate sorelline, stiamo facendo una sorta di nomination di parenti possibili deceduti. Non è simpatico, lo so, ma noi giovani dobbiamo sempre trovare un modo per divertirci e, pensando che questo Natale dovrò dire quella cosa importante ai miei, cerco sempre di fare altro e di tenermi occupato. Anche se è difficile.
Dovrebbero farci un libro, o forse esiste pure, “101 modi per dire ai tuoi che sei gay”. Sicuramente venderebbe un botto, capisco che il mondo va’ evolvendosi e certe cose non fanno più scalpore, ma i miei genitori non sono dei tipi tanto giovani dentro, su certi aspetti. Anche se non so esattamente come la pensano, credo sia una brutta idea dirlo a Natale, con tutti i parenti e la menagrama attorno ad un tavolo, ma lo devo fare: son cinque anni che me lo tengo e questa cosa ormai deve uscire fuori.
Che poi le mie sorelline già lo sanno e come spesso accade in queste occasioni, quando glielo riveli, ti dicono sempre le stessa cosa: “già lo sapevo”. E io rispondo sempre nella stessa pacata maniera: “perché non me lo dicevi prima così non mi sbattevo a cercare di dirtelo in maniera carina per non farti sconvolgere ed avere un colpo?”, il tutto senza virgole, senza respirare. Marta, quando gliel’ho detto, s’è messa a ridere, come sempre. Non l’ho mai vista triste quella ragazza. Ora ha diciotto anni ed è bella come il sole, se fossi etero e lei non fosse mia sorella, farei carte false per conquistarla. E’ bella, è dolce, ama la vita ed è semplice farla ridere. Un terno al lotto.
Michela invece ha avuto uno sguardo sgomento per qualche secondo, poi ha detto la solita frase incriminata e ha sorriso. Mi ha riferito che ha voluto fare un po’ di scena per darmi una piccola soddisfazione e poi ha aggiunto “tu sei il mio fratellone e quello che sei, o chi ti piace, a me non interessa minimamente. Tu sei colui che mi ha difeso sempre e voluto bene fin da quando sono nata, e sarai sempre quel ragazzo. E su una cosa sono contenta però: non ti dovrò dividere con nessuna donna, a parte Marta, e quindi sarai sempre il mio principe azzurro andato a male ma mi raccomando: non mi soffiare il ragazzo che ti picchio eh”, e poi mi ha abbracciato.
La dolcezza nella mia famiglia, almeno per quanto riguarda noi figli, è sempre stato un elemento importante ed imponente. Non abbiamo mai capito da chi abbiamo ereditato quei geni. Mio padre è caciarone e irascibile. Mia madre è puntigliosa e pignola. Giorgio, il nostro vicino casa single, è dolce e sempre gentile.
Un paio di dubbi ti vengono.

Cinque anni che ho scoperto cosa sono senza rivelarlo ai miei che, in occasioni gioiose come questa, sperano sempre io mi presenti con una donna a casa. Mio padre ci spera da quando avevo quindici anni, e mi posso permettere di dire che io ci ho provato, lo giuro. Ma non è andata come sperava lui.
Ho avuto le mie esperienze con dolci signorine, alcune era interessanti, altre meno, così come accade con qualunque essere umano sulla faccia della terra. Ho amato, essendo riamato, una donna: Gioia.
E’ stata una storia che è durata ben poco. Avrebbe dovuto essere per sempre ma si è tramutata in un “per tot” che non ha portato a niente, io sentivo di essere totalmente assente senza capire il reale motivo di questo mio sentimento strano. Lei ha resistito fin quando ha potuto poi, quando si è resa conto che non sarebbe mai riuscita ad amare per entrambi, è andata via.
Ancora mi dispiace, mi sento come se l’avessi tradita senza realmente farlo, ma ero appena all’inizio del mio percorso di rinnovamento e lei ci si è trovata in mezzo come uno scoiattolo su un’autostrada alle tre di notte. Si sa la fine, brutta, che gli può accadere ma non se ne rende conto.
Ora di anni ne ho trenta. Ho finalmente quel fatidico tre come prima cifra e ne ho una paura fottuta. E quindi ho deciso, alleluia, di cambiare questa mia vita da ora, per sempre, iniziando a rivelare ciò che veramente sono ai miei genitori. Ed è in queste occasioni, quando penso a ciò, che la paura fottuta si fa sempre più grande, sempre più enorme. Il pranzo di Natale è l’occasione giusta, me lo ripeto da cinque mesi, anche Marta me l’ha sempre ripetuto: “Dai, buttati, tanto il peggio che può succedere è che non mangi il dolce di papà, per tua fortuna!”.
Vero. La torta Sacher di mio padre. Un’autentica tortura cinese che resiste da prima che io nascessi. E’ orrenda. E’ una cosa brutta, schifosa, e credo sia stata premiata sulla guida Michelin con cinque teschi d’oro. E’ qualcosa di inimmaginabile ed immangiabile. La panna diventa rancida appena viene toccata dalle manacce del mio anziano genitore, la crema al cioccolato vira sul salato dimenticandosi di essere un alimento dolce anche se la si riempie di zucchero, la guarnizione ricorda un recinto ricoperto di filo spinato e, per finire, quella simpatica effige di Babbo Natale mentre trascina la sua slitta è di una tristezza che ti fa odiare il santo Natale, le renne, gli angioletti, il presepe, lo zenzero, l’albero, i parenti e pure i regali che, alla fin fine, son l’unica cosa che interessano.
Questa torta, purtroppo, mio padre la propone da quando si fidanzò, tanti anni or sono, con la mia povera madre. E a lei è sempre piaciuta. E non sto scherzando. E’ l’unica al mondo che riesca a mangiarsela, non ho mai capito come faccia. Se magari fa finta di masticarla e poi la sputa nelle piante del soggiorno, ma no, sono ancora tutte vive, non può essere. E la soluzione ovvia è una sola: si amano. E tralasciando quel piccolo fattore per cui il nostro vicino di casa è molto simile caratterialmente a noi e vive lì da prima che io nascessi e non è che ci somiglio tanto a mio padre, posso sicuramente affermare che i miei genitori sono fatti l’uno per l’altra pur essendo totalmente diversi. E questo è un punto a loro favore.
La torta, comunque, va servita fredda perché così rende al meglio, cioè è solo disgustosa. Mentre se la fate anche scaldare diventa arma di distruzione di massa. Inutile dire che mia madre l’ha mangiata pure calda. Ben due porzioni. E ancora oggi parla e ride come se stesse bene, ma io so che quelle fette sono diventate un essere senziente nel suo corpo e la controllano utilizzando il suo cervello. Ed un giorno lo dimostrerò, fossi l’ultima cosa che faccio.
La prima sarebbe quella di andare a casa dei miei genitori domani, suonare il campanello, attendere che si apri la porta, osservare lo sguardo pieno di entusiasmo di mia madre, e quello di rassegnazione per una non presenza femminile di mio padre, e poi dire chiaramente ed al alta voce: “Mamma, papà, sono gay. E non me ne vergogno”. Fosse facile.

(1-Continua)

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