venerdì 9 luglio 2010

La leggenda di Mang'isse



Tutti voi sapete(o almeno fate finta di sapere) che ho partecipato al premio "Massimo Troisi" per miglior scrittura comica. Centosedici opere pervenute, mica cotica. Un minimo di dieci pagine di racconto(molto larghe) e un massimo di trenta come richiesta, basta che facciano ridere. Io mi sono fermato alle ventitrè lunghezze e spero che provochino ilarità quantomeno a voi. Non ho vinto, se può interessare. Sei premiati(tre vincitori ufficiali e tre menzioni speciali) e centodieci esclusi. Io sono nella marmaglia che non ce l'ha fatta ma non dispero. Proverò l'anno prossimo. E se non riuscirò mai ad arrivare al primo posto, o ad un qualsiasi premio, non dispererò. Perlomeno mi sarò divertito, spero. Comunque, se può farvi piacere, posterò in sette puntatine il mio raccontino smisurato. Spero possa provocare in voi qualche sorrisetto, o magari anche qualche sonora risata. E se non vi piace, abbiamo appena istituito uno sportello per i reclami. Ditelo al nostro assistente Mike Tyson. Lui vi ascolterà con gioia. Poi voi sentirete lui.

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Era un giorno di pioggia torrenziale nella contea di Altar, la grandine aveva deciso di rovinare i raccolti dei contadini, in un batter di ciglio. Gente spaventata dall’arrivo dei proiettili di ghiaccio cercò riparo in un qualsiasi casolare che avesse un tetto. O perlomeno reggesse all’urto violento dell’acqua congelata contro il legno. Destino ha voluto che in quella stalla, in mezzo a quelle mucche, vicino a quella biada, sotto quella paglia, aldilà verso destra entrando dalla porta principale, lasciando a sinistra il covo di fieno rotolante(che non può girare sotto la pioggia)e tralasciando sulla destra l’estintore perché anacronistico, si nascondesse l’eroe più indiscusso dell’intero globo. Che stava ronfando beatamente sotto un chilo di paglia, ancora non sospettando che la sua vita, da lì a due secondi, sarebbe cambiata. Stiamo parlando dell’eroe supremo, siamo parlando di colui sul quale hanno scritto pagine e pagine di avventure mirabolanti. Stiamo parlando di colui sul quale qualsiasi ragazza ha appoggiato lo sguardo, per poi girarlo altrove in un nanosecondo. Stiamo parlando de

“La leggenda di Mang’isse*”
*Per non bilingue: Mangia-Lui(dal napoletano).

La pioggia continuava a farsi sentire. Leggeri tocchi, via via sempre più radi, si odevano da dentro la stalla ove aveva trovato riparo il conte Carlo della Gherarda di Scotti di Riso, principe della contea dei Calvi, ambasciatore in terra degli Stalker, nota dinastia di inseguitori. E, infine, anche gran cerimoniere nelle partite di palla avvelenata che, in quei tempi, si giocava effettivamente con palle avvelenate. Uno sport che causava, ad ogni partita, una miriade di caduti. Un ottimo metodo per eliminare parte della popolazione in eccesso. Infatti ci giocavano solo i poveri, obbligati dai signorotti a combattersi per il loro sollazzo. Ad ogni vincitore veniva data la possibilità di giocare ancora a palla avvelenata o sposarsi la principessa Agata dei Malanni, una procace ragazza di soli diciotto anni, con misure stratosferiche da pin-up, che purtroppo aveva un solo difetto: era caduta, da bambina, in un barile di palle avvelenate, era usanza del luogo stiparle in contenitori appositi, e per il caro effetto “Oh-belix” aveva assorbito tutto il veleno e ora non poteva toccare alcun ragazzo senza ucciderlo tra atroci sofferenze. Questo fin quando non avesse incontrato il vero amore. E, leggenda narra, che ogni giorno la signorina si affacci al balcone, pianga disperata e ogni goccia salata delle sue lacrime causa morte agli sfortunati avventori che passeggiano sotto il suo terrazzo. Questo perché anche i suoi fluidi causano dolore, miseria e morte.
Ma parliamo del nobile Carlo, un uomo che aveva tutto e cercava una sola cosa. Peccato che, un giorno infausto, perse alla corsa delle lumache tutto ciò che aveva. Si ostinò, per centododici gare consecutive, a puntare su un piccolo gasteropode dal nome di “Loser XIV”, convinto che il nome fosse soltanto un portafortuna per il piccolo corridore. Alla centododicesima partita, quando aveva impegnato castello, stalla, granaio, statue in ceramica con la sua effige, piccoli agricoltori, mausoleo, cripta, pozzo nero, un buono per cento hot dog, il biglietto per l’ultimo concerto di LegaBue(autore bovino del luogo, ormai vicino alla macellazione), e anche un panino mezzo mordicchiato, decise finalmente di smettere col gioco d’azzardo e si rese conto di non avere più un soldo. Ma, per fortuna, aveva sempre un sacchettino di monete nella tasca dei pantaloni, si ricordò. Peccato che aveva impegnato anche quelli e camminava in mutande di pezza per tutto il paese. Dopo una degna denuncia per minimi atti osceni in luogo pubblico e il successivo incarceramento per dieci lunghi minuti, si ritrovò in strada, con un pantalone offerto gentilmente dalle guardie del luogo, a guardare il cielo. Il primo pezzo di grandine lo beccò dritto dritto sulla fronte e, insanguinato, si diresse verso una stalla, a prima vista, deserta. Non avrebbe mai immaginato che un destino benevolo si stava per affacciare alla finestra della sua vita.

Il rumore battente della grandine e lo scrosciare dell’acqua fecero destare il nostro eroe che si ritrovò, suo malgrado, circondato da un paio di bovini. Per una qualche oscura ragione le due mucche, di un colore così sorprendentemente chiaro: bianco latte con pezze nere, lo avevano adottato come loro figlio illegittimo. E lo coccolavano con eccezionali leccate che venivano distribuite per tutto il corpo. L’eroe inconsapevole era in un vicolo cieco. Osservava la libertà aldilà della stalla e notò un signore dalla capigliatura scarsa, dai pantaloni orrendi, e dal naso prominente.
“Mi scusi buon uomo” – sussurrò – “Mi aiuta un secondo, credo di essere stato appena rapito da due mammiferi” – disse, senza far rumore.
Il secondo abitante temporaneo di quella stalla, si girò in un istante e notò il problema immantinente. Non ci pensò neanche un attimo, afferrò il povero malcapitato e lo trascinò fuori da quell’amore bovino asfissiante.
“Ti ringrazio, buon uomo. Devo dire la verità: l’idea di latte gratis vita-natural-durante non mi avrebbe dispiaciuto, ma la paglia non rientra nel mio pasto preferito” – e dopo un cenno con la testa, si diresse verso l’uscita.
“Dove vai, oh nobile avventuriero? Io ti conosco, io so qualcosa di te, io ti ricordo. Hai un aspetto da grande eroe, e da grande cavaliere. Dimmi, orsù, la verità. Parla. Favella!” – chiese, in un idioma pseudo-arcaico.
“Mi chiamo Mang’isse, ho alle spalle tornei e competizioni vittoriose, avventure mirabolanti e anche dei segreti che è meglio non raccontare ad anima viva. Sicuramente avrai sentito parlare di me, oh buon uomo, ma è meglio per te dimenticarmi” – gli rispose.
“Hai ragione, ora ti noto! Il tuo nome, di sicuro, già mi è noto. Ma la tua faccia aveo dimenticato. Tu vincesti tornei e duelli. I tuoi avversari neri facesti. Ma dimmi, come ci riesci? Non ho mai visto nessuno mangiare con la tua velocità e con tale continuità. I migliori tornei mangerecci tu hai vinto, sei una celebrità a questo mondo!” – si esaltò, in un secondo.
“Grazie grazie, ma per l’autografo devi aspettare. Le penne a biro ancora non sono state inventate. Passa tra qualche millennio e sono tutto tuo”.
“No, non voglio una tua firma. Voglio che con te tu mi prenda, insieme vivremo avventure spettacolari, io come tuo scudiero, tu come cavaliere. Andremo per monti e per mari!”
“Con tutto il rispetto, sono un uomo abituato alla solitudine, vivo solo, cammino solo, vago solo, mangio da solo, dormo da solo, bevo da solo, non ho un amico, non ho una ragazza, e ad ogni nuova vittoria tutti mi odiano. Sono destinato alla solitudine. Mi dispiace, vado per la mia strada” – e si incamminò.
“Ci aggiungo un pasto caldo” – propose.
“E perché non l’hai detto subito! Amico mio! Luce dei miei occhi! Da quanto tempo desideravo avere un compagno offerente. Tu hai portato dei bellissimi colori in questo mondo pieno di nebbia!” – esultò.
“Però ho un lieve problema di denaro contante. Che ne dici se torni dalle tue amate madri, e le mungi per affetto? Così potremmo avere latte per un eventuale baratto” – propose felice.
“L’idea mi allatta! Ah ah ah, che battutone!” – rise di gusto, lasciandosi cadere a terra e rotolando sonoramente.
“Ho sentore che mi sono appena infilato in un guaio smisurato” – disse Carlo, prima di lanciarsi anch’esso sulla nuda terra per accompagnare l’eroe nel suo momento di ilarità solenne.

(1 - continua)

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