giovedì 15 luglio 2010

La Leggenda di Mang'isse - 6 ° Puntata



Puntata bella corposa, questa volta, e ci avviciniamo al giusto epilogo che posterò domani stesso. Non vi divertite troppo, mi raccomando.

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Capitolo Sesto
“La battaglia”

I due avventurieri si incamminarono nella raduna selvaggia aldilà della cittadina. Passeggiavano allegramente tra sterpaglie, alberi, piccoli mammiferi, insetti e quant’altro. Ogni tanto dovevano fermarsi per pulire le scarpe dai residui degli animali del bosco e intanto raccontavano aneddoti per far passare il tempo e la paura.
“Mi spieghi una cosa importante?” – chiese Mang’isse al suo scudiero.
“Dimmi, ti ascolto” – rispose l’altro.
“Ma se chi viene toccato dalla palla avvelenata muore, mi spieghi come fanno a lanciarla?” – un quesito assai importante.
“Semplice, c’è un solo punto della sfera che è possibile toccare. E’ la parte con cui viene lanciata, alla fin fine”.
“Giusto. E fin qui ci potevo arrivare. Altra domanda: perché la Principessa è ancora viva, pur essendoci caduta dentro?”
“Uhm…su ciò non c’ho mai pensato. Magia?” – sparò a caso Carlo degli Indecisi.
“Ecco, voi nobili quando non sapete le cose la buttate sempre sulla magia. Non si può discutere di cose serie!” – sentenziò il dotto Mang’isse.
“Non ho la risposta a tutti i misteri dell’universo. Comunque siamo arrivati, guarda! Questa è la grotta del mostro mostruoso”.
“Un nome migliore potevano pure darglielo!” – auspicò il distrutto eroe.
“Siamo arrivati per primi e non v’è alcuna traccia del Maciste sia a destra che a manca. Siamo i migliori, siamo i più forti. Yippi-yai-yei!” – esultò senza sosta Carlo dei Felici, peccato che il mostro fosse dietro di lui e non apprezzasse questo tipo di esagerazioni.
Era possente, alto, peloso, muscoloso, atletico. Aveva dei capelli lunghi che gli arrivavano fino alle spalle, ogni movimento con la testa portava su Mang’isse una miriade di ciocche cascanti. Il suo aspetto era feroce, cattivo, violento. Li guardava con aria di sfida e con un sorriso strano sotto i baffi, che non aveva. Aveva strane piume per tutto il corpo. Versi di decine di animali si sentivano sotto i suoi folti peli. Inizio a prendere a ceffoni Carlo dei Disperati in quattro e quattr’otto. Mang’isse osservava la scena senza poter fare niente. Il mostro gli fece un cenno come per dire “aspetta un attimo, concludo e vengo da te”. Carlo non sapeva che fare, era completamente in balìa del mostro che non gli dava un attimo di respiro. Si ricordò di ciò che gli disse suo padre(uno dei tanti) in passato: “Quando ti trovi di fronte ad un mostro gigantesco che vuole ucciderti, parlagli del tuo passato triste e sconsolato. E se non si ferma, scappa più veloce che puoi. Non si è mai visto un mostro gigantesco con una buona corsa”.
Carlo prese alla lettera questo consiglio. Iniziò a ricordare tutti i brutti episodi avuti nella sua infanzia, tutti i dispetti, tutti i dispiaceri, tutti le tristezze avute e ricevute da un’umanità che non lo ha mai amato. Il mostro sembrò fermarsi un attimo, ma era solo per riprendere fiato, menare pugni stanca dopo un po’. Lo scudiero ex-nobile fuggì dalla morsa dell’orrenda bestia, ben sapendo che non sarebbe mai riuscito a riprenderlo. Peccato che la belva disumana, aveva vinto il trofeo interregionale di corsa campestre tra gli orrendi scherzi della natura, e se ne vantava pure, dato che non solo agguantò Carlo in due secondi, ma lo iniziò a picchiare con la coppa di bronzo del vincitore.
Mang’isse osservò tuttò ciò in disparte. Pensò e ripensò a come poter sconfiggere quel pauroso bestio e si intrufolò nella grotta del mostro. Carlo intanto continuò a prendere schiaffi, pugni e coppe sul suo volto.
Il deciso eroe notò la tristezza della casa, notò l’umidità lancinante del luogo e notò anche una certa sporcizia che non aiutava certo l’umore del maestoso bruto che stava fracassando la testa del povero Carlo, fuori. Ad un trattò, però, vide un piccolo particolare che poteva essere usato per sconfiggere l’atroce avversario. Uscì di fretta dalla tana e trovò il suo amico ormai allo stremo, ormai cercava di convincere il mostro con piccoli subdoli trucchi da baraccone.
“Io lo so che tu sei buono, voglimi bene, io te ne voglio e ti perdono per tutto il male che mi hai fatto” – provò con una sottile arma psicologica ed ottenne per ringraziamento altri due ceffoni. Indi cercò di convincerlo con la psicologia inversa – “Ti odio, brutto essere nauseabondo, ti ucciderò ed estirperò la tua essenza vitale in un nanosecondo” – ed ottenne, come regalo, altri cinque schiaffoni. In quell’istante Mang’isse capì finalmente cosa doveva fare.
“Io so come ti chiami, Alfred, e so che sei triste, solo e disperato. Usi la tua aggressività per respingere noi comuni mortali ma so che tu hai bisogno di noi. Ho dato un’occhiata alla tua grotta e l’ho trovata umida, fredda e piena di minuscoli insetti che non aiutano certo la tua situazione. Io so cosa sei, Alfred, un piccolo orso ammaestrato abituato alle comodità della vita moderna. Io so che avevi un padrone, piccolo batuffolo pelosone, che purtroppo non c’è più. Alfred, tu hai bisogno di una casa vera, di un ambiente che conosci. Hai bisogno di un camino, di un padrone, di un bagno per toglierti tutti i pennuti morti nel tuo pelo e le altre decine di animali che porti addosso. Alfred, io sono tuo amico, lui è tuo amico. Siamo qui per darti carlore, gioia e felicità!”
Il triste mammifero iniziò un singhiozzamento lento e disperato, senza però fermarsi dal colpire lo sfortunato avventuriero. Ad ogni colpo inferto partiva una lacrima, ad ogni pugno o unghiata scendeva una goccia dai suoi occhi.
“Sta soffrendo” – sentenziò Mang’isse.
“Non solo lui!” – corresse Carlo dei Moribondi sputando due denti.
“Alfred, basta, vieni da me. Andiamo al fiume assieme e tagliamo via tutta questa sporcizia inutile. Abbracciami, orsacchiottone mio!” – E allargò le braccia.
Il gigantesco essere si fermò, lancio Carlo da una scarpata, si inginocchiò dinanzi al prode Mang’isse e lo strinse a sé. Iniziò un forte bramito di commozione. I due rimasero in quella posizione per una ventina di minuti buoni, attesero poi il ritorno del povero scudiero o di ciò che ne era rimasto e si sedettero vicini.
“Piccolo pelosone, ora io e il mio nobile amico ci impegniamo a farti una bella lavata e poi torneremo in paese, e prenderemo l’occorrente per prepararti una bella capanna di legno solo per te”.
L’orso non parve soddisfatto e ringhiò contro l’eroe che si corresse subito.
“Monolocale” – altro ringhio di disappunto.
“Bilocale?” – ne ottenne un altro ancora.
“Casetta con camino, angolo cottura e un salmone fresco ogni mattina?” – a questa proposta ci pensò un attimo e poi si indicò il pelo.
“Credo voglia dirci che vuole dare anche ospitalità a tutti gli animali che porta addosso. A quelli ancora vivi, penso” – si intromise Carlo che, per tutta risposta, ottenne l’avvicinarsi dell’enorme bestio e un conseguente abbraccio di dimostrazione d’amicizia.
“Ehi, amico, hai fatto colpo!” – notò il divertito Mang’isse.
“Spero che la principessa non sia della sua stessa pasta! Ah ah ah!” – rispose il Carlo dei Contusi, non rendendosi conto che pronunciando il termine “pasta”, il desideroso Mang’isse aveva iniziato a sbavare copiosamente.

Comunque, chiarito l’equivoco con il maestoso orso, i due stipularono un patto con il suddetto mammifero per la costruzione di una villetta super-accessoriata, con ampio salone, cucina abitabile, tre piani e una deviazione del corso del fiume affinchè potesse passare dietro la suddetta abitazione, per avere sempre salmone a portata di zampa. I tre, poi, si diressero al ruscello con un bel paio di cesoie pronti a disboscare il rutilante bestione. Maciste, da par suo, era nascosto in un anfratto, intento ad osservare la situazione. Ovviamente cercava un modo per sconfiggere, in un sol colpo, il mostro e i due avversari. Pensa che ti ripensa, cadde in un sonno profondo.

Piccola cronistoria di Maciste che serve per far passare il tempo

Nacque forse in epoca romana, combattè contro legionari, egizi, comici antichi di un certo livello, leggende del passato, poliziotti, assassini, ladri, terroristi, magistrati, re, reami e reggenti. Si inalberò contro animali mitologici, vampiri, lupi mannari e lontre. Unico punto debole: appena vede delle contadinelle gli parte l’ormone. Anche se over novanta di età. Gli basta solo che siano inzaccherate nella nuda terra, indossino straccetti e parlino in un idioma poco forbito.
Memorabile fu quando gli fu concessa in sposa la contessina dei Carpazi(di cui vanno tutti pazzi), lui scappò la sera stessa con Mirandina, una contadinotta di cento chili per un metro e sessanta, che ora è diventata la sua trentottesima moglie.

Fine intermezzo

I due eroi avevano tagliuzzato il folto ed enorme pelo del mostro che ora era diventato un gigantesco e profumato orsacchiottone. Intrappolati su di sé, il tenero mammifero della famiglia dei carnivori, aveva due piccioni viaggiatori, con relativa valigetta, tre mastini napoletani, un orsetto lavatore(che venne assunto come aiutante), due picchi del Madagascar, un paio di avvocati, una famiglia di ratti albini, trenta rane gracidanti e un’intera colonia estiva di rondini che notarono il cielo nero e volarono verso il profondo sud.
Per il resto, il piccolo orso, aveva su di se due enormi ale di gabbiano, un’anguilla, una parrucca fatta con capelli veri, che si era attaccata alla testa e che man mano andava disfacendosi, e un set di dodici code di castoro. Mang’isse decise di raccogliere tutto ciò che non fosse ancora vivo in un sacco come prova dell’abbattimento del feroce mostro dato che, quest’ultimo, non aveva acconsentito a concedere la propria testa come trofeo. Il simpatico Carlo riacquistò un po’ di colore ed iniziò a festeggiare declamando versi e poesie. Decise, infatti, di dedicare alla principessa Agata un tenero sonetto per farsi amare un po’ di più.
“Ho in mente un pensiero che mi ha lasciato senza fiato: scivola quel corpetto/ ma che donna sei/ battiti d’amore non l’avevi fatto mai”.
“Lascerei volentieri te senza fiato dopo codesta orrenda esibizione” – rivelò l’eroe Mang’isse.
Ma il pericolo, per i due giochererelloni, era in agguato. Maciste, ridestatosi dal lungo torpore, prese il sacco con gli scarti umidi, se lo mise sulla spalla e corse verso il villaggio, giù per la scarpata. L’orso cercò di rincorrerlo ma inciampò nella coppa di bronzo che aveva lasciato a bordo del ruscello, per bullarsi con gli altri due. Il novello poeta Carlo esaltò questo momento con pochi versi: “Rubi la roba/e crolli l’orso nero/ rimango qui da solo/ và che io t’aspetto”
Il discusso Mang’isse capì il messaggio nascosto e si gettò all’assalto del vergognoso ladro. Corse più che poteva, inseguito poi anch’esso da Carlo dei Podisti, che si contraddì in un secondo.
“Ti seguo/lo vedo/ Maciste va veloce e tu stai indietro!” – declamò.
L’eroe, adirato più che mai, raccolse ciò che aveva trovato nella grotta di Alfred: una ciotola di dimensioni abnormi, col nome inciso del pensante carnivoro, che cercò di lanciare sulla testa del fuggitivo. Peccato che non stesse mai fermo. Carlo, in disparte, si ricordò di cosa gli disse suo padre,uno dei tanti, un giorno, in punto di morte.
“Mio piccolo figliolo, sappi che se ti ritroverai contro un nemico leggendario hai ben pochi punti deboli da sfruttare. Ricorda per i vampiri è l’aglio, per i lupi mannari è l’argento, per i dotti e i letterati sono i film di Massimo Boldi, per i reali e la perdita di potere, per me è stata la peperonata di tua madre e per Maciste sono le contadinelle. Trovale e avrai vittoria facile”.
“Mang’isse” – urlò in modo deciso al suo compare – “Sii pronto! Hai pochi secondi”.
“Sono pronto” – disse quest’ultimo sgranocchiando una ghianda.
“Maciste! C’è una contadinella a ore 6!” – urlò con tutto il fiato che aveva in gola. Il ladro muscoloso si fermò, si voltò e osservò la ciotola entrare prepotentemente sopra il suo cranio e ruzzolò per metri e metri, per ore e ore, per giorni e giorni. Molto probabilmente non si è ancora fermato.
“Tra cadute e ruzzoloni ti si sporcano i pantaloni” - osservò Carlo prima di svenire per la felicità.

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