martedì 13 luglio 2010

La leggenda di Mang'isse - 5° Puntata



Stiamo vicini alla fine, indi fra poco ritornerò a scrivere post perlomeno più decenti(si spera, o forse son tutti della stessa pasta). Comunque si entra nel vivo, che cosa è una storia, che cosa è un eroe senza il giusto avversario? Indi è giunta l'ora di conoscerlo. Buona lettura.


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Capitolo Quinto
“L’antagonista”

Carlo dei Rinvenuti si riprese all’interno di una taverna. Guardò il popolino occupante di quella bettola festeggiare e si domandò cosa ci facesse lì dentro. Dopo qualche attimo riconobbe lo sguardo assente di Mang’isse che grufolava nel piatto come solo i veri suini sanno fare. Gli chiese, immantinente, cosa ci facessero in quel posto e cosa fosse successo.
“Ti chiedo immantinente cosa ci facciamo in questo posto e cosa è successo” – ripetè Carlo dei Pappagalli.
“Niente di che. Mangiamo gratis, in cambio poi dobbiamo sconfiggere il mostro mostruoso di questa zona” – disse senza neanche finire di deglutire.
“Ma noi non siamo avventurieri, noi siamo…un duo di idioti. Tu sei un vincitore di tornei, sì, ma mangerecci. Io sono solo un pover’uomo. Perché andare a rischiare la vita?” – chiese ancora.
“Se sconfiggiamo il mostro possiamo chiedere ciò che vogliamo in cambio. Io potrei aprirmi una taverna, e tu fare il mio garzone. Oppure io potrei prendermi una nave e tu fare il mio mozzo. O, ancora meglio, io potrei avere tutto il cibo che voglio e tu fare il mio cuoco. Non ti alletta l’idea?”
“No. Certo che no. Mi servirebbe un bel motivo valido per partecipare a cotanta spedizione verso l’ignoto, ma dove?” – appena ebbe finito di ciarlare, dalla porta arrivò una folata di vento inattesa. L’entrata fu aperta da delle mani gentili, delicate, soavi. Era la principessa Agata dei Malanni. La povera ragazza che non aveva potuto toccare alcun ragazzo, pur essendo da anni sul mercato. Solo l’amore avrebbe potuto salvarla. Solo l’amore e forse un buon antidoto. Carlo dei Speranzosi si esaltò. Salì sul tavolo e urlò.
“Io! Io sconfiggerò il mostro, che sia un drago, che sia un goblin, che sia un orco, che sia Sauron, io lo sconfiggerò! Per amore di lei, la più dolce creatura su questa Terra. Per amore suo, porterò qui la testa del mostro. E chiederò la sua mano!” – un boato da stadio suggellò la promessa. La principessa si ritrovò ad arrossire a cotanto amore. Il baccano infernale durò qualche altro minuto fino a che un altro misterioso avventuriero non salì su un altro tavolo.
“Saluti a tutti, e saluti a te, mia principessa. Io mi chiamo Maciste II, ho dalla mia parte decine, centinaia, migliaia di combattimenti a cui ho partecipato e sono uscito vincitore. Ora, tutti sono contro Maciste, l’ho sperimentato in anni e anni di onorata carriera. Ma io voglio farvi ricredere. Io voglio farvi capire che sono un uomo gentile, dolce e pieno d’amore. Principessa, mi concede questo ballo?” – a questa richiesta nella sala si ebbe un silenzio tombale. Carlo guardava la situazione creatasi con un moto d’ira e di disprezzo verso quel misterioso uomo. Mang’isse continuava a mangiare senza pensare ad altro.
“Ma io, io…non posso…” – disse la Principessa, arrossendo ancor di più.
“Lei potrà, mia amata, quando ritornerò con la testa del mostro. Lei capirà l’importanza del mio gesto e mi amerà come non ha mai amato nessuno prima” – cosa molto vera dato che non aveva mai provato quel sentimento così forte per anima viva.
“Giammai!!!” – urlò Carlo – “Procace donzella, io sfiderò in singolar tenzone cotanto mostro abissale che voi avete in loco, e porterò il suo cranio come pegno d’amore e di sottomissione verso la Vostra indubbia beltate”.
“Come parli, straniero? Hai appena inghiottito un vocabolario?” – chiese Maciste il Secondo.
“Ah ecco perché sta roba aveva il sapore di carta!” – rispose Mang’isse che era presente con il corpo ma non con la mente.
“Io ho espresso il dìsio di poterle donare la mia vittoria. Io riuscirò nella mia cotanta impresa, e affronterò, per il suo regal visino, anche le intemperie del tempo, del luogo e dello spazio” – un boato di entusiasmo si sentì dalla locanda del Rospo Caliente, due vie più lontane. Avevano udito, non si sa come, il termine “intemperie” ed erano tutti commossi e felici.
“Io sono Maciste. Ho eliminato individui ben peggiori di te. Ho attraversato montagne, deserti e anche campi di granturco. Tu non mi fai paura. Questa sarà una sfida tra il sottoscritto e te, piccolo insolente omuncolo che si fa accompagnare da un maiale. La vittoria sarà mia!” – sbattè la porta e se ne andò ridendo, come solo un vero cattivo sa fare.
“Credo mi abbia insultato” – capì Mang’isse, per una buona volta, alzando la testa dal piatto.
“Sarà il suo ultimo attacco della sua triste ed inutile vita. Perché io e te, lo sconfiggeremo! Vero, amico mio?” – chiese Carlo della Speranza. Il suo prode amico alzò il pollice in segno di entusiasmo. Intanto era ritornato con la testa nella pietanza, leggero e gioioso.
“Ora penso che Maciste abbia tanto ma tanto ragione” – disse l’ex-nobile prima di mettersi in un angolino a piangere.
“Orsù, andiamo a dormire, caro Carlo. Domani la nostra giornata sarà lunga e irta di pericoli. Un sonno ristoratore è sol quello che ci serve!” – disse il deciso Mang’isse – “Tendimi la pargoletta mano”. Carlo accettò l’aiuto per rialzarsi. Pian piano andarono nelle loro stanze mentre fuori, due vie più distanti, un popolo di amanti della lingua italiana festeggiava con un trenino.

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